La “calchera” è una costruzione manufatta che in passato fungeva da forno con lo scopo di produrre calce viva. Ne esistevano di due tipi: una per grosse produzioni e l’altra per ottenere piccole quantità. L’operazione di costruzione era molto delicata e richiedeva estrema precisione per non pregiudicare i risultati finali: ciò non significava che servissero ipotetiche lauree specifiche, ma solo buonsenso e umiltà per apprendere precedenti conoscenze ed applicare esperienze altrui. La struttura realizzata in sassi resistenti al calore veniva creata artigianalmente con una forma simile a quella di una botte che in genere veniva addossata ad un pendio per evitare la costruzione di un terrapieno di sostegno perimetrale.
La calchera industriale, destinata all’ottenimento di grosse quantità di calce, si realizzava quindi scavando innanzi tutto sottoterra una grande buca circolare e tondeggiante di circa cinque metri di diametro, che veniva poi pazientemente rivestita con una muratura in pietrame a secco resistente alle alte temperature e con uno spessore di almeno un metro: come unico legante veniva utilizzata un po’ di terra. Preferibilmente il pietrame non doveva essere calcareo oppure doveva essere stato precedentemente semicotto, ma era adatto anche l’utilizzo di mattoni. Il muro raggiungeva un’altezza di circa quattro metri ma non si sviluppava in senso perfettamente verticale come per una figura cilindrica; nella partenza dal terreno la parete aveva la conformazione cosidetta “a scarpa”: dopo un avvio più allargato, a circa metà altezza il muro si elevava poi in ritiro per concludere con una sommità di diametro più stretto, per ottenere quindi una figura complessiva più simile a una botte che a un cilindro e con una stanza interna finale avente un diametro di circa tre metri. Altre volte la partenza del muro era perfettamente verticale per poi ritirarsi man mano che la costruzione procedeva: era indispensabile che il diametro della cima non fosse eccessivo per avere una superficie a cielo aperto assai limitata, con lo scopo essenziale di non disperdere il calore ma di trattenerlo il più possibile dentro alla camera di combustione per l’ottimale cottura della calce.
Nella calchera quasi completamente interrata per mantenere elevato il calore, venivano lasciate una o due aperture, a seconda della pendenza del terreno. Con una buona pendenza era necessario lasciare due aperture, una delle quali collocata proprio alla base che, mediante uno stretto cunicolo comunicante con l’esterno, serviva da scarico per le ceneri. Se il terreno era invece pianeggiante un’unica stretta apertura, posta a circa 80 cm. dalla base, serviva sia per alimentare la camera di combustione che per asportare le ceneri: Il corridoio con l’apertura per l’alimentazione della camera di combustione e anche per la necessaria ossigenazione aveva una conformazione svasata, con una larghezza maggiore nel lato verso l’esterno e una larghezza minore verso l’interno.
La fornace terminava alla sua sommità con una volta realizzata anch’essa con pietre a secco e doveva “reggere” senza alcun cedimento: la sua esecuzione era una vera opera d’arte che permetteva di arrivare alla volta autoportante dove il calore doveva faticare ad uscire, mantenendo alte le temperature interne che lentamente cuocevano le pietre calcaree per ottenerne calce. Nessuna impalcatura e nessuna armatura erano pertanto utilizzate per realizzare la volta, ottenuta quindi unicamente con il paziente lavoro di incastro di pietre che solo l’esperienza di chi lavorava in edilizia poteva vantare.
Nella struttura praticamente interrata le temperature erano molto elevate: la muratura interna spessa circa 50 o 60 cm. veniva realizzata pazientemente con pietra calcarea che cuoceva ininterrottamente per parecchio (5 o 6 giorni) grazie al calore prodotto dalla legna di piccola pezzatura e di dimensioni molto sottili , introdotta senza sosta per alimentare il fuoco.
Il combustibile prevalente era costituito da legna fine in piccole fascine, a cui veniva tolto il legaccio nel momento di introduzione nella camera di combustione. A volte venivano utilizzati anche gli scarti del carbone di legna, ottenuto anch’esso con analoghe lavorazioni artigianali.
Il muro interno di sassi calcarei destinati alla cottura era realizzato lasciando tra un sasso e l’altro lo spazio sufficiente perché la fiamma potesse circolare liberamente, portando ovunque un calore uniforme.
Si raggiungevano anche temperature vicine ai 1000 gradi e la calce viva ottenuta, trattata con acqua, dava origine alla calce spenta.
Il secondo tipo di calchera, realizzato per ottenere piccole quantità di calce ad uso domestico, doveva essere comunque preferibilmente interrato ed era dotato di due vani: quello sottostante , rotondo e a pareti verticali, era la camera di combustione iniziale, mentre quello sovrastante aveva pareti molto inclinate che andando verso l’alto dovevano assomigliare ad un imbuto. Il foro posto alla base dell’imbuto metteva in comunicazione i due vani. A differenza della combustione che nelle calchere grandi si protraeva per più giorni, in quella piccola si partiva con uno strato di carbone di legna a cui veniva sovrapposto uno strato di pietra calcarea di piccola pezzatura e con uno spessore di circa 5 o 6 cm, continuando così ad alternare strati di carbone e strati di pietra fino ad aver riempito l’imbuto. Dando fuoco alla legna nella camera di combustione, la fiamma pian piano rendeva tutto incandescente cuocendo così le piccole pietre fino alla loro trasformazione in calce viva.
A Colere, ma anche in altre zone della Valle di Scalve, le calchere erano diffusissime perché la materia prima, costituita da roccia calcarea, è presente in notevole quantità; tuttavia verso la metà degli anni ’50 la consuetudine di produrre calce con le calchere si esaurì.
Nelle tipiche economie rurali montane era consuetudine ottenere quanti più prodotti possibili per il fabbisogno della comunità: la produzione artigianale di calce era sicuramente tra queste. La calce veniva impiegata per rinfrescare e disinfettare pareti interne, ma soprattutto come legante edilizio per la costruzione di abitazioni e murature.
Grazie alla disponibilità del Gruppo Alpini di Colere che si è prestato per la realizzazione dei lavori, negli ultimi anni Manfredo Bendotti ha guidato la ricostruzione di due bellissime calchere localizzate nella zona del Pian di Vione, nella pineta sopra Colere: una in località “Casere” e l’altra in località “Colderana”. La ricostruzione è stata possibile grazie alle preziose indicazioni fornite da persone anziane, dalle quali è comunque emersa l’assenza di rigidissime e regole per la costruzione delle calchere, che a volte venivano modificate in fase costruttiva in base ai bisogni, sia per quanto concerne le dimensioni che le forme finali.
Nel 1993 Mandredo Bendotti ha condotto una meticolosa ricerca identificando e inventariando ben 45 esemplari di questi manufatti, stilando poi un accurato elenco con le coordinate geografiche e l’indicazione del luogo di ubicazione, le indicazioni di particolari costruttivi o dimensionali e lo stato di conservazione: 19 si trovano in comune di Colere, 11 in comune di Vilminore, 10 in comune di Azzone e 5 in comune di Schilpario.
Le informazioni fornite sono state redatte grazie alla fattiva collaborazione, alle accurate ricerche, agli studi approfonditi e alle positive sperimentazioni di Mandredo Bendotti.
L'ingresso della calchera in localita "Casere"
L'ingresso frontale della calchera in localita "Casere"
L'apertura per l'alimentazione
La parte superiore della volta della calchera, che affiora dal terreno
Il foro che serve da sfogo, sulla voltadella calchera
La sezione di un "poiat", realizzato a scopo dimostrativo di fronte alla calchera: serviva in passato per la produzione di carbone, ottenuto dalla lenta combustione di legna
L'ingresso della calchera della "Colderana"
Il pendio, visto lateralmente, nel quale è stata ricostruita la calchera
L'apertura per l'alimentazione, realizzata con infinita pazienza e meticolosità
L'interno della camera di combustione, con i resti della legna bruciata